martedì 6 aprile 2010

Fuori sede

Ricordo che era domenica, il giorno dopo si lavorava. Eravamo andati a letto abbastanza presto, quindi. Ricordo che nei giorni precedenti avevo sentito di numerosi allarmi lanciati a causa di scosse abbastanza leggere ma frequenti.

A L'Aquila c'erano tanti ragazzi di Roseto, tanti in generale dalla costa abruzzese. Tanti studenti vivevano nel centro storico della città. Molti si lamentavano per le condizioni pessime delle case del centro storico, chi per il riscaldamento che non andava o non bastava a contrastare l'inverno a quella quota, chi per tetti e muri ammuffiti, chi per i prezzi delle stanze che nonostante lo stato delle case erano alti.

Ricordo che ci siamo svegliati di soprassalto, anche a Roma, a 100 km di distanza. La prima sensazione che ho sentito è stata Il terremoto, qui sotto di noi. Carla era più calma. Non riesco ad immaginare che sensazione può aver provato chi era lì, vicino l'epicentro. Ricordo che dopo i primi attimi di spavento, ho avuto l'impressione che tutto fosse successo a L'Aquila ma oggi non saprei dire perchè, credo per gli allarmi che qualche amico aveva lanciato su facebook e che mi era capitato di leggere. Non avevamo acceso la tv, siamo tornati a dormire, con un pò di fatica.

Sono andato a lavoro, la mattina seguente, come sempre. Non mi è sembrato di aver colto segnali particolari per strada, in metro. Ricordo di aver acceso il pc e di aver aperto il sito di Repubblica, ma non avevo realizzato da subito l'entità del disastro. Il mio capo anche lui non sapeva nulla, quando è arrivato in ufficio. Ci siamo messi al lavoro, nel frattempo i dati su morti e feriti sono cominciati ad arrivare. Salivano di ora in ora. Ho chiamato Carla, che era convinta di poter tornare in Abruzzo quella mattina stessa. Morti e feriti aumentavano. Cercavo di pensare a tutte le persone che conosco che potevano essere a L'Aquila quella notte. Non ho chiamato, non ho inviato sms, nelle emergenze chiedono di non farlo. Sono tornato al lavoro, con un occhio alle notizie. Bisognerà aspettare 3 giorni per avere dati definitivi su morti e feriti.

Saranno tantissimi gli studenti a lasciare la vita sotto le macerie di case distrutte, case altrui, case che in alcuni casi ci si vergognerebbe ad affittare, e che qualcuno non si vergognava ad affittare. Ora, è già dura così ma morire a casa di altri... Tantissimi aquilani hanno perso parenti, amici, hanno vissuto mesi nelle tende, è dura vivere nelle tende. Passano mesi poi sono arrivate le case, gradualmente le tendopoli si sono svuotate e gli aquilani stanno tornando alla normalità, se di normalità si può parlare. Le storie sono tante, ognuno ha qualcosa da raccontare, il terremoto è terremoto per tutti. Ma morire a casa di altri, da studenti fuorisede... Fosse successo di giorno, tanti altri studenti sarebbero morti all'interno delle facoltà stesse, parecchi studenti tornano in città il lunedi mattina per andare a lezione. Nei dieci, quindici giorni precedenti avrebbero potuto chiudere le facoltà, mi dicono, i segnali c'erano tutti, si poteva far tornare alle proprie case i ragazzi fuorisede  con qualche giorno di anticipo sulla settimana santa.

Quando ci sono le tragedie, è dura per tutti, non ci sono morti di serie A. Ma pensare di pagare una stanza in affitto, di cui "magari" neanche un euro andava a finire in tasse, in una casa vecchia, e che poi si rivela non garantire le condizioni di sicurezza, e lasciarci le penne lì così, beh non so che farci, a me viene dentro un senso di ingiustizia. Le cosiddette istituzioni hanno visitato diverse volte la città, per vicinanza, per fare promesse, per consegnare case, per controllare la situazione, per farsi vedere. Di studenti non ho più sentito parlare, in tv o in altre parti. Il mio pensiero oggi va a L'Aquila tutta, ma in modo particolare a loro

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